Airbnb e la sharing economy: l’Italia è a pezzi

Condivisione sì, ma non dei guadagni. I centri storici delle principali città italiane sono ormai diventati un gigantesco Airbnb: a Firenze quasi il 20% delle case dentro le mura medievali è in affitto sulla piattaforma turistica, a Matera addirittura il 25%, a Roma l’8%, a Venezia il 9 e le percentuali sono in crescita dappertutto, da Catania a Milano. A dispetto del concetto di “sharing economy” però su Airbnb i grossi guadagni sono ben poco “shared”, condivisi. Anzi si concentrano sempre più nelle mani di pochi.

A Milano ad esempio un unico soggetto ha accumulato più di 520 mila euro solo nel 2016 mentre il 75% degli host ha guadagnato meno di 5.000 euro in un anno. A Roma il 48% dei proprietari è sotto 5.000 euro e un fortunato 0,6% sta sopra 100 mila euro mentre a Firenze, dove l’incasso medio per gli oltre 8 mila host di Airbnb l’anno scorso è stato di 5.300 euro, uno solo è arrivato a incassare la bellezza di 700 mila euro.

È una ricerca del laboratorio Ladest della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Siena a fare luce, forse per la prima volta in maniera analitica, sull’altra faccia di Airbnb. Uno studio durato due anni su 13 città italiane — sarà presentato a Lisbona a fine mese — esplora le dinamiche spaziali ed economiche del fenomeno delle locazioni turistiche. Il boom delle offerte, la crescita degli host che sono ormai 121 mila in Italia e tutto quello che c’è dietro un mercato dal valore enorme: da una parte quella che i ricercatori Antonello Romano e Stefano Picascia chiamano “airification” delle città, la progressiva “hotelizzazione” degli immobili dei centri storici, dove la residenza è in calo; dall’altra la disuguaglianza crescente tra chi guadagna moltissimo e chi quasi nulla sulla piattaforma.

Grosse agenzie di intermediazione, “super host” che gestiscono per conto terzi decine se non centinaia di appartamenti a scopo turistico, specialmente nei centri storici, da Firenze a Catania, finiscono per accaparrarsi la fetta più grossa di una torta milionaria, lasciando le briciole a una massa di proprietari sedotti e abbandonati dal mito della sharing economy. Per la prima volta lo studio di Siena ha calcolato gli squilibri dei ricavi da Airbnb nelle città, arrivando a stabilire che le distanze tra i top host e la massa sono in crescita: l’indice “Gini”, quello che gli economisti usano per calcolare le disuguaglianze e che nella popolazione italiana è poco sopra lo 0,3, su Airbnb è al doppio: 0,7 a Milano, 0,67 a Catania, 0,66 a Firenze. Su una scala da 0 a 1 sono dati elevatissimi. E in crescita quasi ovunque. Secondo Romano e Picascia anche l’idea di una tassazione non progressiva — la cedolare secca al 21% decisa dal governo — applicata ad un sistema con molte disuguaglianze, finirebbe per produrre effetti distorsivi.

Ormai decine di migliaia le case disponibili: nel 2016, 13.159 a Milano, 21.687 a Roma, 8.193 a Firenze, 5.637 a Venezia, 4.058 a Napoli, 2.577 a Bologna. Dappertutto le case in offerta sono in grande aumento tra 2015 e 2016, addirittura +135% a Bologna in un anno, +219% a Napoli. Crescono soprattutto le case “intere”, gli appartamenti piuttosto che le stanze: a Firenze oltre 18% dell’intero patrimonio immobiliare del centro storico è un Airbnb, come dire una casa su 5, il 25% a Matera, un appartamento su 4 tra i sassi è in affitto on line. A Matera l’80% delle offerte totali sono case intere, il 72% a Firenze, il 74 a Venezia, il 69 a Milano. A Firenze la stragrande maggioranza dell’offerta è concentrata sul centro storico, circa l’80%, ma ci sono città come Roma, Bologna e Siena dove le case intere in affitto su Airbnb aumentano anche fuori dal centro.

Author: Ernesto Ferrara

Fonte: La Repubblica

Posted on 12 Giugno 2017 in Destinazioni, Incoming, Journal, News, Places

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Pierluigi Polignano. Economista del Turismo, fondatore di "Made in Puglia®"

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